La Cocca mediterranea medievale (Costruzione).

Costruzione di una Cocca mediterranea medievale.

di R. Bigoni aggiornamento del 9 gennaio 2022.

Per la Cocca mediterranea medievale, come per tutte le navi dell’antichità, non ci sono pervenuti progetti o disegni. Questo tipo di preziosa documentazione cominciò a essere conservata solo verso la fine del 1600/inizio 1700 soprattutto a opera dagli inglesi ma anche dei francesi e degli olandesi.

Fino ad allora la costruzione era impostata dal mastro d’ascia sulla base dell’esperienza pervenuta e accumulata, arricchita dall’intuizione. Questo portò a costruzioni pregevoli ma anche a disastri totali, specialmente quando il regnante interveniva pesantemente sulla costruzione della nave (ad esempio il vascello svedese WASA). Per le navi medievali possiamo fare riferimento a immagini di dipinti, incisioni, sigilli, arazzi e, nel caso della nostra cocca, anche a ex-voto dell’epoca.

Il primo modello di Cocca mediterranea.

Uno dei più importanti è la cosiddetta “Nao di Matarò”, dalla località spagnola nella quale fu ritrovato. Datato intorno al 1450 circa, è ora esposto al Museo Prins Hendrik di Rotterdam:

Mataro model in Maritiem Museum Rotterdam: il più antico modello di una cocca mediterranea.
[Foto: Modellismo.net]

E’ un modello in cui si nota una notevole capacità del costruttore, ma nel quale probabilmente la fedeltà al prototipo reale non è stata al primo posto nei suoi pensieri. Tuttavia offre molti spunti per comprendere lo stato dell’arte all’epoca, con i bagli sporgenti, il fasciame sia “a paro” che “a clinker”, il timone incernierato a poppa, le sopraelevazioni a prua e a poppa per scopi difensivi:

Prua della Coca di Matarò.
[Foto: Modellismo.net]

La costruzione della Cocca mediterranea: da dove partire?

Esistono disegni costruttivi tracciati sulla base delle immagini disponibili e anche della “Nao di Matarò” (v. Bibliografia).

Vista laterale e profili di prua e di poppa di una cocca mediterranea
[foto: Modellismo.net/forum]

E’ un tipo di nave non molto “gettonato”, rispetto alle tre navi di Cristoforo Colombo e ai velieri tipo Mayflower, Golden Hind, Victory, eccetera, ma recentemente almeno un paio di produttori hanno immesso sul mercato le scatole per la sua costruzione: l’italiana AMATI e la giapponese “WOODY JOE”.

Modelli commerciali di kit di costruzione di una Cocca mediterranea.
A sinistra il modello AMATI; a destra il giapponese WOODY JOE
[Foto dai siti dei produttori]

Seguire le istruzioni o apportare modifiche?

Entrambi i produttori si sono ispirati molto alla “nao di Matarò”. Come sempre, le scatole contengono il necessario per ottenere il modello rappresentato, ma in questo più che in altri si possono operare profonde modifiche per ottenere una particolare imbarcazione corrispondente alle proprie ricerche storiche. Per esempio si potranno modificare numero dimensione e posizione dei bagli, aggiungere particolari costruttivi, modificare il fasciame e quant’altro la fantasia supportata dalle documentazioni storiche potrà suggerire. Un esempio:

Forma della falsa chiglia con incastri per le ordinate, per la cocca mediterranea.
Qui si vede chiaramente che i bagli della Cocca AMATI originale saranno modificati e verranno aggiunti gli ombrinali (i quadratini appoggiati superiormente ai bagli e che servono per il deflusso dell’acqua imbarcata)
[foto: Modellismo.net/forum]

La struttura dello scheletro della cocca mediterranea.

Entrambi i costruttori forniscono le tavole pretagliate al laser contenenti la chiglia e le ordinate; spetta al modellista lavorare listelli, tondini, piallacci, corde e quant’altro contenuto nella confezione per costruire il modello. Per prima cosa si assemblano chiglia e ordinate, usando colla vinilica e controllando accuratamente l’ortogonalità degli incastri e la saldezza della giunzione:

Se lo scasso è lasco, si rimedia con uno spessore di carta/cartoncino.
[Foto dell’autore]

La ricopertura del ponte principale.

Completato lo scheletro (chiglia più ordinate più riempimenti di prora e di poppa, si passa all’installazione del ponte princpale. Nella foto seguente, il ponte principale in corso di rivestimento. I chiodi hanno un valore più estetico che realistico. In realtà sarebbero quasi invisibili.

[Foto dell’autore]

Dopo il ponte principale si innalzano le murate e si ricopre l’interno con listelli, qui verso poppa:

[Foto dell’autore]

…e verso prua:

[Foto dell’autore]

Il fianco sinistro (francesismo babordo, port in inglese):

[Foto dell’autore]

Vista dei bagli:

[Foto dell’autore]

Il numero delle ordinate in realtà…

Alcune illustrazioni indicano la presenza a vista delle ordinate e in numero maggiore rispetto a quanto proposto dal produttore; probabilmente ciò era necessario per irrobustire lo scafo. Nella foto si nota questa aggiunta riportata lungo tutto lo scafo.

[Foto dell’autore]

Non prevista dal produttore, la tavola fissata alle ordinate e dotata di anelli per il fissaggio. Essa è visibile in illustrazioni dell’epoca. Da farsi prima della copertura con il ponte superiore.

[Foto dell’autore]

Vista del ponte principale verso poppa con i bagli originali.

[Foto dell’autore]

Aggiunta dei bagli a supporto del cassero.

Vengono aggiunti i bagli di sezione minore e in numero maggiore al posto di alcuni di quelli originali.

[Foto dell’autore]

Vista dell’andamento curvilineo dei bagli per il supporto del ponte superiore.

[Foto dell’autore]

Messa in posa del supporto per il tavolato del cassero.

Posa del ponte superiore da ricoprire e del trincarino fra ponte e murata (particolare non previsto dalle istruzioni, ma altamente probabile).

[Foto dell’autore]

Vista della murata sinistra, con i bagli superiori aventi sezione inferiore a quelli sottostanti. Le “finestre” lasciate dai vecchi bagli rimossi saranno ricoperte dal fasciame.

[Foto dell’autore]

Il fasciame per le murate interne della Cocca Mediterranea.

La murata è ricoperta internamente con i listelli del fasciame.
[Foto dell’autore]

Aggiunta di false ordinate.

Aggiunta di finte ordinate, ricopertura del ponte e innalzamento della murata per alloggiare il capodibanda (elemento costruttivo che copre e collega la sommità delle coste sui due fianchi della nave formando l’orlo superiore dello scafo).

[Foto dell’autore]

Alcune cocche potevano avere una balconata a poppa, non prevista dal produttore; per questo occorre allungare il ponte.

[Foto dell’autore]

Incollaggio dei sostegni per il capodibanda.

[Foto dell’autore]

Il dragante della Cocca mediterranea.

Posa del dragante (paratia trasversale, collegata al diritto di poppa e al fasciame esterno, che serve a sostenere tutta la parte poppiera dello scafo) Incollato sopra l’estremità della chiglia e sotto la “losca” (apertura attraverso la quale passa la barra del timone).

Poppa della Cocca mediterranea in costruzione.
[Foto dell’autore]

Nuova disposizione dei bagli inferiori.

Occhi di cubia per le ancore spostati in posizione avanzata rispetto al progetto iniziale:

Primo e secondo fasciame della Cocca mediterranea.

Completamento del primo fasciame.

Il primo fasciame è completato. Con il particolare metodo che verrà adottato per il secondo fasciame in noce, è molto importante la perfetta simmetria dei corsi dei listelli.

Posa degli incintoni e del secondo fasciame in contemporanea.

Generalmente si completa il secondo fasciame con i listelli normali e poi su di esso s’incollano gli incintoni, cioè i rinforzi strutturali posti in opera sullo scheletro a uno stadio molto anteriore, alla fase d’impostazione dello scafo. In questo modo, se non si fa particolare attenzione, può succedere che fasciame e incintoni abbiano andamenti non omogenei, come visible nelle foto riportate nel manuale delle istruzioni:

Andamento disomogeneo di incintoni e fasciame nella Cocca mediterranea, come da istruzioni AMATI.
In questa foto del manuale d’istruzioni, si nota chiaramente come gli incintoni non seguano la medesima curvatura del fasciame, oltre a risultare eccessivamente sporgenti. – Foto AMATI.

Il metodo adottato invece sarà di porre prima gli incintoni e accanto a essi i corsi di fasciame. Per questo motivo la parte sporgente dei bagli è stata amputata per essere riposizionata, ruotati secondo l’inclinazione degli incintoni.

Posa degli incintoni della Cocca mediterranea.

Il primo incintone è posto sopra i bagli del ponte superiore. Il terzo incintone sotto i bagli del ponte principale. I corsi di fasciame sono loro accostati.

Sono state reincollate le parti sporgenti dei bagli seguendo l’inclinazione dei bagli; gli incintoni devono preferibilmente essere curvati preventivamente nelle due direzioni. L’ultima foto visualizza il risultato ottenuto seguendo le istruzioni del produttore: è evidente il diverso andamento relativo a incintoni e fasciame sottostante, (poco plausibile),

Per motivi estetici, il listello fra i bagli è stato scelto con una tonalità di colore più chiara. Il secondo incintone è posizionato seguendo l’andamento del capodibanda a centro nave.

Il quarto incintone è posto sotto tre corsi di fasciame; il quinto dopo altri tre corsi. Nel caso il listello si rompesse durante la piegatura, si può rimediare con una giunzione a incastro.

Secondo fasciame completato e trattato con impregnanti del legno.

Inserimento della chiglia.

Ruota di prua, chiglia e dritto di poppa della Cocca Mediterranea.

Si riveste la chiglia, il dritto di poppa e la ruota di prua con i listelli di noce 4×1 mm, dopo aver ben controllato che la struttura sia ben rettilinea, specialmente la ruota di prua che è la parte più delicata.

Il capodibanda del cassero

Il corrimano “capodibanda” percorre tutto il bordo superiore delle pareti (o “murate”) di poppa ed è costruito tagliando e sagomando segmenti di listello di noce 2×10 mm:

Il capodibanda del cassero per la Cocca mediterranea.
[foto dell’autore]

Rimane ora da completare la rifinitura delle estremità del fasciame a poppa:

Battagliola di poppa e losca del timone nella Cocca mediterranea.
[foto dell’autore]

L’incastellatura di prua

A questo punto occorre intervenire anche sulla prua, finora trascurata. Il produttore propone una soluzione di questo tipo:

Incastellatura di prua della Cocca mediterranea, come suggerta dal produttore AMATI.
[foto: AMATI]

che non risulta attuata in nessuna fra le tante immagini coeve esaminate:

Occorrerà quindi creare un telaio a forma di triangolo isoscele:

Onde evitare di vedere di fianco il sottile strato di legno chiaro relativo al tavolato del ponte, si incolla un leggero rialzo (listello da 1×1 mm) lungo il perimetro. Per controllare la precisione geometrica della struttura, si inserisce un lungo listello quadrato (5×5 mm) che deve rimanere al centro:

Si inizia a ricoprire la superficie e si costruisce lo “scatolato” per l’apertura del ponte nella quale sarà inserita la scala:

Poi si ricopre il telaio con i listelli appropriati. Poichè la parte sottostante è piuttosto spoglia, è stata aggiunta una traversa.

Per salpare l’ancora.

A questo punto conviene pensare alla struttura per la movimentazione dell’ancora: all’epoca erano già presenti argani orizzontali (“molinete” o molinello). Ci sono una dozzina di rappresentazioni contemporanee che raffigurano nella prora una traversa, dritta o incurvata, ma nella Nave di Matarò non vi è traccia di argani, nè verticali (cabrestante in spagnolo, capstan in inglese), nè orizzontali (molinete in spagnolo):

Le istruzioni del produttore risolvono il problema in modo un po’ semplicistico:

Il capone della Cocca mediterraneacome previsto dal costruttore AMATI.
Foto “Amati”

Per ottenere una traversa curva, si possono usare spezzoni di listelli, dei quali uno dev’essere curvato:

Il capone modificato della Cocca mediterranea.
Foto dell’autore.

Poi la struttura va inserita nei fori corrispondenti e incollata:

Battagliola di poppa.

Il prossimo passaggio è completare la battagliola di poppa. Anche qui le istruzioni danno un’interpretazione riduttiva (tre sostegni invece dei cinque esistenti nel modello della nao catalana di Matarò):

Capodibanda del ponte principale.

A questo punto si passa al capodibanda del ponte principale, partendo dalla sommità della parete di poppa a scendere aggiungendo spezzoni di listello 1x4x10 mm:

Può essere utile costruirsi piccoli attrezzi per la levigatura, incollando carta abrasiva su supporti di varia foggia:

I rinforzi laterali o parabordi.

Le istruzioni indicano che i rinforzi laterali saranno anche il punto di fissaggio per le sartie e per tale motivo hanno un foro in cima:

Parabordi della Cocca mediterranea secondo il produttore AMATI.
Foto “AMATI”

Questa disposizione non è priva di fondamento storico, in quanto un dipinto anteriore al 1489 (“Reliquiario di S. Orsola” di Hans Memling) mostra due navi con una soluzione simile. Però hanno dei bozzelli al posto delle bigotte:

Inoltre sono navi più piccole e la Nao di Matarò ha le sartie fissate sul ponte e all’interno delle murate. Ho perciò provveduto alla costruzione dei rinforzi come normalmente strutturati. E’ preferibile un lavoro in serie:

Un costituente fondamentale: il timone.

Esso è costruito incollando spezzoni di listelli sopra una sagoma di compensato:

Per unire il timone alla chiglia, è necessario l’utilizzo delle cerniere

Il passo successivo è il fissaggio del timone allo scafo:

Lo scafo completo di timone.

La battagliola del cassero

Per quanto riguarda la battagliola del cassero, il produttore propone tre semplici listelli applicati su nove colonnine:

Battagliola del cassero nella Cocca Mediterranea secondo il produttore "AMATI".
Foto da manuale “AMATI”

La nave di Matarò ha un numero maggiore di colonnine e una certa ricercatezza stilistica. Qui si è cercato un compromesso curvando i listelli secondo l’andamento del ponte, aggiungendo altre colonnine e sagomando le stesse. Inoltre la battagliola è completata anche a poppavia:

Battagliola del cassero della Cocca Mediterranea.
Foto dell’autore

Il castelletto di poppa.

Dal fornitore “AMATI” si ottiene una versione semplificata del castelletto di poppa:

Da istruzioni “AMATI”

Per ottenerne una versione più elaborata si può impiallacciare tutta la struttura; poi limamdo gli angolari si creano le sedi per le assi orizzontali. Occorre anche sagomare i pilastri di supporto e le assi stesse:

La tuga del ponte principale

Anche per questo oggetto il produttore propone una versione semplice:

La tuga secondo il produttore "AMATI".
Da istruzioni “AMATI”

Chiaramente il foro “diametro 10 mm” è chiaramente un errore, sarebbe uguale a quello dell’albero maestro. Inoltre non si ha alcuna indicazione storica di fori sul tetto della tuga. La nave di Matarò ha delle semplici assi accostate. Per questa cocca si è preferita una maggiore complessità, con chiodature, cerniere e anelli:

Il carico

La confezione contiene sei botti di aspetto piuttosto “plasticoso”. Conviene rivestirle di listelli sottili e riprodurre le cerchiature con cartoncino sottile o nastro da carrozziere tinto di nero e incollato con Vinavil:

Le ancore e il loro percorso.

Il produttore indica ancore con i ceppi tenuti insieme da quattro anelli quadrati; in realtà è preferibile ricorrere a legature di corda (e anche l’anello detto propriamente “cicala” dell’ancora andrebbe rivestita di corda):

Gli argani inesistenti.

A questo punto si sbatte contro il problema: che percorso fanno e dove finiscono le gomene delle ancore? Dal modello di Matarò non si capisce, c’è solo la bitta ricurva trasversale (vedi paragrafo “Per salpare l’ancora“). Non c’è traccia di argano verticale “cabrestante” o orizzontale “molinete“. D’altra parte la parola inglese capstan deriva dal latino capistrum (cavezza) e quindi il verbo capistrare (tenere la cavezza, fissare) con participio capistrans – capistrantis, da cui cabestrante che con una facile permutazione porta a cabrestante. Ma in questo caso si fa riferimento a tener fermo, con riferimento alla trave (la bitta ricurva trasversale) e non a un ipotetico argano verticale che sarebbe comparso successivamente a Colombo, e ancora meno a uno orizzontale.

La soluzione prospettata da AMATI non è molto convincente, come anche due fori che alcuni fanno sul ponte dei loro modelli.

La tuga della Cocca Mediterranea secondo il produttore "AMATI".

Alcuni modellisti evitano addirittura di mettere le ancore.

Una soluzione possibile, ma non certa.

Una soluzione potrebbe consistere in due fori nella parete della tuga, sopraelevati ripetto al piano del ponte in modo che non entri acqua e con una struttura che impedisca l’usura della parete dovuta allo scorrimento della gomena:

La soluzione in foto consiste in due anelli in noce posti in opera nella parete anteriore della tuga.
Un’altra opzione sarebbe fare due scassi nella parete e inserire due cubetti di noce forati con diametro 2,5 mm; forse sarebbe più sobria.

La potenza, il calcese e il bozzello per la drizza del pennone.

La cocca in costruzione è del tipo più semplice, un albero e un pennone. Alla base del sistema, fissato saldamente sul ponte superiore, vi è la potenza, dispositivo con due pulegge e una galloccia. Se eseguite secondo le istruzioni, non si ha l’impressione realistica delle funi che scorrono attraverso le feritoie e le gole delle pulegge:

Un effetto molto più realistico lo si ottiene effettuando i fori e scavando un solco fra di loro, creando quindi l’effetto delle pulegge:

La galloccia ha un’area d’incollaggio alla potenza troppo piccola e quindi conviene inserire un paio di spine come rinforzo:

I bozzelli

I bozzelli forniti nella scatola di costruzione sono troppo piccoli e risultano sproporzionati rispetto a potenza e calcese; inoltre la loro forma è più adatta per velieri di epoche posteriori:

Poichè non sembrano reperibili bozzelli adatti, l’unica alternativa è costruirseli, con spezzoni di listelli, tondini di legno e capocchie di spilli:

Calcese e pazienza con galloccia della Cocca Mediterranea.
Foto dell’autore.

Occhi di cubìa.

Gli occhi di cubìa sono le aperture attraverso le quali passano le gomene delle ancore; in alcune illustrazioni compaiono circondate da cornici rotonde più o meno spesse. La cocca mediterranea li aveva in posizione più avanzata di quella suggerita dal produttore. Inoltre esso lascia un semplice foro.

La costruzione delle cornici è molto semplice: si prende il tondino da 10 mm per l’albero maestro, si fa un foro centrale di diametro 4 mm e se ne tagliano due fette di 4 mm di spessore. Dopodiché si sagomano, Per la parte esterna si usano lima, fresetta tonda e cartavetrata.

La parte che dev’essere incollata va sagomata in situ, appoggiando un pezzo di carta vetrata sullo scafo nel punto in cui deve essere posizionata e strofinandola fino a far acquisire la curvatura sufficiente al dischetto.
Alla fine lo spessore degli occhi di cubia dovrebbe essere di circa di 1,5 mm. Il diametro del foro interno ovviamente va portato alle dimensioni di quello sullo scafo con limetta tonda, una volta che la colla ha fatto presa.

Incollaggio degli occhi di cubìa.


Il normale Vinavil aderisce scarsamente a superfici trattate con impregnante per legno; per questo motivo è meglio utilizzare una epossidica bicomponente.

La base dell’alberatura della Cocca Mediterranea.

A questo punto le istruzioni AMATI consigliano di montare il castello di poppa, la pazienza, il bittone e la battagliola di prua Questa procedura è giusta se si costruiscono le sartie secondo il suo progetto (terza foto), secondo il quale esse sono fissate con anelli sulla sommità dei rinforzi verticali.

Questa soluzione è anche plausibile in quanto un dipinto anteriore al 1489 (“Reliquiario di S. Orsola” di Hans Memling) mostra una soluzione simile, anche se con bozzelli al posto delle bigotte:


Però la Nao di Matarò ha chiaramente le sartie fissate all’interno e quindi rimane da decidere se fissarle al ponte o agli scalmotti. Esaminando le foto della Nao mi è sembrato di vedere un bozzello fissato con un anello alla coperta, mentre altri figurano fissati alla fiancata:

Per questo motivo ho deciso di seguire la soluzione raffigurata nella figura seguente, con le sartie fissate a un anello piantato su uno scalmotto al di sopra di una trave orizzontale.

Sezione posteriore di una Cocca Mediterranea.
Immagine tratta da “Modellismo.net”

Di conseguenza occorre posticipare la messa in posizione di castelletto e battagliola, che interferirebbero con la posa di sartie e straglio.

Golfari e anelli

Ovviamente per fissare le sartie occorre disporre di golfari e anelli, non previsti nella confezione AMATI. Per fortuna sono facili da costruire, con filo di acciaio, di ferro, ottone o rame ricotto:

Attenzione al filo di acciaio armonico, può lesionare i polpastrelli! L’unico golfare d’acciaio venuto bene andrà a prua, dove si fisserà lo straglio.
L’ultima foto mostra la disposizione finale di trave orizzontale e punti di fissaggio delle sartie (golfari più anelli).

Golfari con anello per il fissaggio delle sartie della Cocca Mediterranea.

I tre cavi fissi per lato proposti da AMATI sembrano un po’ pochini…ce ne vorranno almeno quattro.

L’albero maestro

La Cocca mediterranea all’origine e nelle sue versioni più semplici aveva un solo albero. Le istruzioni della “AMATI” suggeriscono di incappellare le sartie sopra la crocetta,:

Le sartie nella Cocca Mediterranea secondo il produttore "AMATI".
Documentazione “AMATI”

ma è un metodo che è comparso molto più tardi. Nel XIV-XV secolo, il fissaggio delle sartie avveniva sotto la coffa, in diversi modi, molto simili:

Tipi di coffe e legatura delle sartie in uso nel Medioevo.
Da: “Sàrtie, stile mediterraneo” di Pino dall’Orco in “ARCHITETTURA NAVALE: MEDITAZIONI E STUDI”

Ovviamente, per le fedeltà storica, occorre legare le sartie sotto la coffa. Per fornire loro un appoggio occorre sagomare la testa dell’albero, creando un leggero scalino. Inoltre bisogna squadrare la cima per l’appoggio del calcese e poco più in basso creare gli appoggi alle crocette:

Testa dell'albero della Cocca Mediterranea.
Testa d’albero – Foto dell’autore.

All’inizio non è stata creata una sede adatta per l’albero maestro. Per rimediare, ho inserito la punta di un chiodo al centro dello stesso e poi l’ho premuto sulla falsa chiglia. Tutto sommato l’albero ora è già abbastanza diritto senza uso di colla. Poi con le sartie si potrà apportare la correzione finale:

Base dell'albero maestro della Cocca Mediterranea.
Base dell’albero – Foto dell’autore.


Il costruttore non prevede legature. Le immagini contemporanee della Cocca mediterranea invece le evidenziano spesso, Esse arricchiscano il modello, anche se l’albero non è composito. Inoltre è stato dipinto in color noce:

L'albero maestro della Cocca mediterranea.
Foto dell’autore.


Inoltre ho aggiunto qualche particolare alla base dello stesso, come il piede d’albero e un collare con golfari:

La mastra d'albero della Cocca mediterranea.
Foto dell’autore.

Le semplificazioni apportate all’alberatura della Cocca mediterranea per esigenze produttive e industriali.


La parte superiore dell’albero.

In qualunque nave, la cima dell’albero è una struttura complessa nella quale convergono cavi fissi (sàrtie, stralli) e manovre correnti (drizze dei pennoni, amantigli, eccetera). La conoscenza attuale della tecnologia dell’epoca è abbastanza lacunosa, ma attraverso dipinti, trattati, manuali coevi si è riusciti a ricostruire alcune soluzioni tipiche.

La soluzione proposta dal produttore per la Cocca Mediterranea risente parecchio della necessità di semplificazione per esigenze produttive e industriali:

Sistemazione della cima dell'albero della Cocca Mediterranea secondo il produttore "AMATI"
Testa d’albero secondo il produttore (foto AMATI, scritte dell’autore)

Secondo le istruzioni, il tondino da 10 mm da cui ricavare l’albero dev’essere rastremato fino a 9 mm in cima. Poi s’incollano la crocetta (costituita da barre costiere e traverse) e le maschette. Ma, a parte l’incollaggio non ideale di una superficie piana su una tondeggiante, sembra che la comparsa delle maschette sia successivo. La Nao di Matarò ha la crocetta che supporta la coffa, ma senza maschette. Come si è visto in una illustrazione precedente, vi sono almeno otto soluzioni diverse che escludono la crocetta; una di esse però prevede quattro supporti che s’irradiano dall’albero.

Altre semplificazioni e approssimazioni.

LA CROCETTA: le immagini delle istruzioni e il disegno danno due visioni contrastanti: nella prima è quasi piana, nella seconda e nel disegno le barre costiere sono a livello diverso da quello delle traverse. Questo si ripercuote sul posizionamento dei bozzelli, dello straglio e della biscaglina:


IL POSIZIONAMENTO DEI BOZZELLI

Dal disegno sembra che nei bozzelli (B) il cavo corrente non scorra lungo la gola della puleggia, come se fossero posizionati a rovescio; anche la drizza del pennone che passa attraverso il calcese sembra inserita SOTTO la puleggia (e lo stesso si nota per la pazienza sul ponte e il bozzello della drizza del pennone):

Andamento delle manovre e posizionamento dei bozzelli secondo il produttore "AMATI".
Da istruzioni “AMATI”


LA DRIZZA DEL PENNONE

In base al disegno, non sembrerebbe possibile innalzare il pennone fino alla cima, in quanto il bozzello è troppo vicino alla pazienza:

disegno della drizza del pennone della Cocca Mediterranea.
Documentazione “AMATI”


LA BISCAGLINA:

Scala di corda per arrivare in cima all’albero. Non si capisce bene come finisca: sembra inchiodata alla base della coffa (punto F) in un modo che sembra rendere impossibile l’ingresso:

Coffa, crocetta e maschette della Cocca Mediterranea nella versione del produttore.
Documentazione “AMATI”

Da immagini dell’epoca si può notare che la biscaglina poteva proseguire fino al bordo superiore della coffa oppure era possibile accedere da un’apertura alla base della medesima.

I Bozzelli

I bozzelli presenti nella confezione non sembrano adatti per l’epoca della Cocca; dovrebbero andar bene per imbarcazioni di secoli successivi. Le loro dimensioni sono circa 7,2 x 4,5 mm (penso andrebbero bene per Vascelli in scala +/- da 1:70 – 1:90, dal Seicento alla fine dell’Ottocento :

Bozzelli commerciali.
Documentazione “AMATI”

I bozzelli delle navi medievali nelle illustrazioni dell’epoca.

Il modello della “Nao di Matarò” del 1450 ha bozzelli molto diversi da quelli inseriti nella confezione; essi sono visibili in diverse immagini postate in precedenza. Le immagini coeve (o di poco successive) mostrano anch’esse bozzelli di foggia molto diversa (alcuni sembrano verniciati di colore scuro/nero alle estremità, forse qualcosa di protettivo contro l’umidità, la salsedine ?) :

Una rassegna dei principali tipi di bozzello usati nel medioevo è visibile nell’immagine seguente, che raccoglie disegni provenienti da diverse fonti:

Tipi di bozzelli presenti in navi come la Cocca Mediterranea medievale
Tipi di bozzelli in uso nel medioevo e anche oltre. Immagini tratte da : “Anatomy Of The Ship -The Ships of Christopher Columbus” di Xavier Pastor e da: “Sàrtie, stile mediterraneo” di Pino dall’Orco.

Possibili rimedi apportabili alle semplificazioni del produttore.

BOZZELLI: esistono produttori che hanno in catalogo bozzelli di pregevole fattura, ma non sempre delle dimensioni richieste e talvolta non disponibili, in quanto piccole produzioni in serie. Alcuni di essi si possono trovare ai link situati in fondo all’articolo. Forse la via più breve è costruirseli da soli: si affettano un po’ di listelli e di tondini di varie dimensioni, si limano alle misure volute e si assemblano. La forma viene poi loro conferita con lavoro di lima e cartavetrata, eventual- mente usando delle dime:

Il foro centrale che richiama il perno della puleggia si simula scavando un foro superficiale e scartavetrando dopo aver messo una traccia di colla. La segatura incollata varierà quel tanto di tonalità da dare l’impressione dell’esistenze del perno della puleggia.

Per la cocca mediterranea le dimensioni usate vanno da 7 a 12 mm per la lunghezza, da 3 a 6 mm per la larghezza e da 2,5 a 3,2 per lo spessore. Ovviamente i bozzelli doppi e tripli crescono additivamente di spessore. Non essendoci documentazioni assolutamente certe, ognuno può godere di una certa libertà nella costruzione di questi particolari essenziali per la riuscita del modello.

Le sàrtie

Il lavoro è proseguito con la posa in testa all’albero delle sàrtie, secondo la fig.8. E’ l’ultima fra le disposizioni tipiche dell’epoca, già illustrate da Pino dall’Orco in “Sartie, stile mediterraneo”:

 

Ho fatto quattro coppie di sartie, alternandole in alto e poi avvolgendo il tutto con la corda. Ovviamente l’albero è un po’ rastremato in cima:

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L’albero maestro con legature e sàrtie applicate. – Foto dell’autore.

Il pennone della cocca mediterranea.

Numerose illustrazioni dell’epoca confermano che era frequente la costruzione di pennoni compositi, ottenuti dall’unione di due metà opportunamente sagomate. Anche il bassorilievo del “Sacrificio di Giona”, visto in precedenza, presenta il pennone costituito da due metà saldamente legate.

Il lavoro è quindi proseguito con la costruzione delle due metà del pennone, unite tramite “palella” e rastremate:

Pennone della Cocca mediterranea. Foto dell’autore

Le estremità sono scanalate per il fissaggio dei bozzelli (come anche quelle della palella).

Estremità del pennone (“varea”) – foto dell’autore


Dove le due metà si sovrappongono sono previste delle legature;

Legature del pennone – Foto dell’autore.

Infine alle estremità sono stati legati i primi bozzelli, del tipo a una via:

Bozzelli per mantigli e bracci. – foto dell’autore.


A questo punto si presenta il problema del fissaggio del pennone all’albero tramite la manovra “drizza del pennone” e un dispositivo detto “trozza”, il quale può presentarsi in diversi modi, più o meno complicati. Al prossimo aggiornamento!

La trozza della Cocca mediterranea

Il produttore AMATI ha risolto il problema abbastanza semplicemente, con una fila di palline separate da nodi:

La soluzione è valida in quanto il “Reliquiario di S.Orsola” di Hans Memling, antecedente il 1489, presenta soluzioni simili:

Però probabilmente era valida per il naviglio minore (quelle nel dipinto non hanno la coffa). Infatti nelle “Storie di Sant’Orsola” del Carpaccio (1495) ci sono navi anche con quattro file di bertocci.

Da “Storie di S.Orsola” di Vittore Carpaccio. – L’Europa dei mari – ARSENALE- Venezia

La Nao di Matarò ha due file di bertocci:

Date queste premesse, l’unica è costruirsi tutto da sè. Per fortuna la difficoltà di costruzione è solo apparente, molto inferiore a quella di decidere “come” costruire la trozza, data la scarsità di documentazione tecnica coeva.

La costruzione della trozza

Le bigotte

Si incollano una dozzina di pezzi di listelli larghi 5 mm e lunghi 12 mm per avere un margine di correzione. Il blocco si sagoma secondo il modello visibile nella Nao Di Matarò. Poi si fanno due fori con punte di 1,2 mm di diametro. Alla fine si tiene a bagno in acqua fino a che la colla vinilica si sciglie. Si separano le bigotte, si puliscono e si asciugano.

I bertocci


Per i bertocci si possono utilizzare quelli AMATI ma sono solo otto, per cui non sufficienti per due file. Anche questi si possono costruire facilmente.

Si prende un tondino da 5 mm, si fora al centro con diametro intorno al millimetro e poi lo si affetta in tanti cilindri lunghi circa 5 mm; ogni cilindro è inserito su uno stuzzicadenti serrato in un mandrino. Si lavora di lima e cartavetrata fino ad arrivare quasi alle dimensioni di quelli AMATI.

Alla fine si posizionano fra due pareti di cartavetrata (una è di un battilonza scartato dalle cucine e di cui mi sono subito appropriato) e si rifiniscono con moto rotatorio, fino a raggiungere dimensioni relative omogenee:

Attenzione che l’ultima rifinitura produce molti scarti e non è stato possibile rimpicciolire ulteriormente. Sarebbe meglio utilizzare un legno più compatto, tipo il bosso. Ad ogni modo adesso il numero è sufficiente per costruire la trozza.

La trozza della Cocca Mediterranea.

Si infilano le bigotte e i bertocci in un cavo ripiegato su sè stesso e si provvede a un primo collaudo tramite un simulacro di albero maestro:

A questo punto si può iniziare a legare la trozza al pennone. Iniziano qui le difficoltà, in quanto dalle foto precedenti, relative alla trozza della Nao di Matarò, non è facile risalire al modo in cui essa era stata vincolata all’albero maestro, anche perché il modello nel corso dei secoli è stato ampiamente rimaneggiato.

Alla fine dell’8oo e nel 1929 vi furono studi e ricostruzioni delle navi di Colombo (di poco posteriori alla Nao di Matarò), in conseguenza di celebrazioni di anniversari. Un riassunto di queste opere si può trovare nel ricchissimo volume di Heinrich Winter, citato in bibliografia. Da esso si possono estrapolare le seguenti possibilità di vincolo della trozza al suo albero, tutte con un bozzello o con cappi di corda o anelli di legno:

Esempi di trozza delle navi di C. Colombo
Esempi di trozza secondo Winter. I nomi indicano i rispettivi pennoni.

Nell’eccezionale lavoro di Xavier Pastor (v. Bibliografia) ci sono diversi disegni riferentisi alla Nao di Matarò e ipotesi circa il fissaggio della trozza:

Le dimensioni delle bigotte e dei bertocci vincolano la costruzione della trozza. Occorre andare per tentativi, in modo da ottenere un risultato plausibile. Una delle più facili sembra essere la trozza contrassegnata dell'”antenna” secondo Winter. In essa la fune alla fine fuoriesce da un anello di legno (redancia o radancia) legato al pennone:

Il risultato è abbastanza deludente, in quanto la trozza non avvolge bene il tronco dell’albero, anzi, ne rimane abbastanza distante. Con questa configurazione, inoltre, non è possibile aggiungere altri bertocci. Si potrebbe migliorare con bertocci molto più piccoli. Le altre soluzioni sembrano abbastanza complesse; occorre continuare a cercare un’alternativa..

La soluzione alla fine adottata proviene dalla semplificazione che si ottiene eliminando la redancia e sostituendola con un anello della fune:

Disegno della trozza per la Cocca mediterranea.
Trozza – disegno dell’autore.

La drizza del pennone.

Il pennone supporta le vele. Esso viene innalzato (alato) o abbassato (ammainato) tramite la manovra denminata “drizza”.

Pennone legato alla drizza. – Foto dell’autore.

La drizza passa attraverso il calcese ed è legata a un bozzello doppio, a sua volta vincolato alla pazienza sul ponte:

A questo punto si può applicare la trozza modificata al pennone; nulla è ancora incollato:

Si vede chiaramente che ora la trozza abbraccia completamente l’albero. Completata la trozza, si inizia a fissare definitivamente il pennone. Per prima cosa si valuta la lunghezza della drizza, che deve permettere al pennone di arrivare a un paio di metri sotto la coffa e poter scendere fino al ponte. Nell’immagine si vede che il bozzello s’incrocia con il pennone a circa metà altezza, il che dà la sicurezza che più o meno ci siamo:

Il pennone con la sua drizza issato a metà altezza dell'albero della Cocca.
Prova per valutare la lunghezza della drizza. – Foto dell’autore.

Poichè nelle istruzioni la drizza è fissata al pennone sopra la sua legatura, ho aumentato il numero di giri della stessa per allungarla. Invece le legature sul cavo della stessa drizza sono state fatte mediante un filo sottile di colore più scuro. L’effetto estetico mi sembra migliore se confrontato con i nodi di corda più grossa come nell’illustrazione:

A questo punto aggiungiamo la trozza e issiamo il pennone in alto per rendere più facile il lavoro successivo:

Il Paranco della drizza.

Adesso che siamo a conoscenza della lunghezza della manovra precedente, possiamo passare al meccanismo per far salire o scendere il pennone. Esso è costituito ovviamente da un paranco; nelle prime due foto il modello, con il cavo più sottile e nell’ultima foto la soluzione proposta dalle istruzioni, con cavo delle stesse dimensioni:

Arrivati a questo punto, si comincia a lavorare in alto…

Lo straglio di maestra della Cocca mediterranea.

Il fissaggio in cima all’albero di maestra.

Lo straglio (o strallo) di maestra vincola l’albero verso prua; esso è anche l’unico straglio per questa piccola nave
Per il suo fissaggio in testa all’albero, il fornitore suggerisce un semplice “cappio”,sopra la crocetta:

Fissaggio dello strallo all'albero della Cocca mediterranea.
Documentazione “AMATI”

Invece la Nao di Matarò presenta un cavetto fuoriuscente dal groviglio di cavi sotto la crocetta. Probabilmente è il residuo di tante manipolazioni, aggiustamenti nel corso dei secoli:

Il fissaggio dello strallo all'albero della Nao di Matarò.
Documentazione: Prins Hendrick Museum di Rotterdam.

Andando a vedere il progetto di Adametz per la sua Santa Maria, “Nao” più grande, con tre alberi più il bompresso e di qualche decennio più recente, si trova una legatura poderosissima all’albero maestro, ma una molto più semplice al trinchetto, forse fatta con una gassa:

Metodo di produzione di una gassa.
Costruzione di una gassa – da “Le navi di Colombo” di Heinrich Winter – MURSIA Editore.

Le dimensioni della vela di trinchetto della Santa Maria non dovrebbero differire di molto da quelle della vela della nostra Cocca e quindi è plausibile che una gassa in cima sia sufficiente per lo scopo:

Il fissaggio al ponte del castello di prua.

La decisione circa il modo di fissare lo straglio al ponte ha richiesto molto tempo, molto studio ed è la conseguenza di deduzioni basate su fonti diverse.

Per il fissaggio al ponte, AMATI propone le stesse bigotte a tre fori che usa anche per le sartie e sembra che vincoli lo strallo al bittone (soluzione che forse non offre la robustezza richiesta per gli sforzi cui è sottoposto questo cavo):

Forse in assoluto non è errato, in quanto anche Adametz nei disegni della sua Santa Maria (più recente di qualche decennio della Nao) ha messo delle bigotte sullo strallo di maestra, ma lo vincola (sdoppiato) al ponte con degli anelli. Lo strallo e il controstrallo del trinchetto finiscono ovviamente sul bompresso.

Fissaggio dello strallo al ponte sulla Santa Maria di H. E. Adametz.
Fissaggio al ponte dello strallo di maestra della Santa Maria. – Piani di H. E. Adametz.

Un’altra soluzione possibile sarebbe quella di ancorare lo strallo allo sperone, passando attraverso un foro da aprire sul castello. Se si sceglie questa opzione, è meglio effettuare le modifiche al ponte al momento della sua costruzione. A questo punto sarebbe abbastanza disagevole.

Infine, la Nao di Matarò ha un sistema di paranchi e bozzelli, e anch’esso termina in un anello sul ponte:

Nao di Matarò – Prins Hendick Museum

Però, poichè le sartie laterali saranno fatte con paranchi a bozzelli, per la prua volevo qualcosa di diverso, esteticamente valido e plausibilmente non scorretto dal punto di vista storico.

Dal libro di H. Winter sulla Santa Maria ho trovato il disegno di una bigotta che potrebbe essere stata usata per lo stesso scopo:

Bigotta a canali spagnola, o bigota de estay.
Illustrazione da “Le navi di Colombo” di Heinrich Winter – MURSIA Editore.

Considerato che la bigotta a canali in Spagna era chiamata bigota de estay, cioè bigotta di straglio, si può pensare di adottarla per il fissaggio al ponte. Allo scopo ho ampliato con la lima l’apertura di bigotte già disponibili.

La stroppatura della bigotta.

Per la stroppatura della bigotta al ponte della Cocca mediterranea, ho scelto un filo metallico di origine sconosciuta utilizzato come conduttore di corrente per il plastico ferroviario, risalente ai tempi delle lire. Non è ottone in quanto anche limandolo rimane grigio metallico. E’ molto facile da lavorare.

Stroppatura della bigotta dello straglio della Cocca mediterranea.
Stroppatura metallica della bigotta. – Foto dell’autore.

Una volta tagliato e sagomato il filo, l’ho ricoperto con epossidica bicomponente e ho limato il tutto fino a ridurlo a una singola barra, poi verniciata di nero opaco. L’altra bigotta è fissata con normali legature. Il cavo dello strallo è il più grosso che avevo a disposizione, leggermente superiore al mm.

Un po’ di tinta color legno anche alle bigotte ha concluso il lavoro:

Vista anteriore dello strallo della Cocca mediterranea.
Fissaggio dello strallo. – Foto dell’autore.

Ovviamente il filo elastico trasparente è lì solo temporaneamente e sarà sostituito a fine lavori.

La testa dell’albero della Cocca mediterranea.

Per prima cosa ho inserito sotto le barre costiere due anelli per la biscaglina (la scala di corda che permette di andare dal ponte alla coffa):

Crocetta con golfari – Foto dell’autore.

Gli amantigli del pennone.

Anche per i bozzelli degli amantigli ho seguito la strada della legatura alle barre costiere. Essi potrebbero anche partire dalle legature in cima all’albero. Le istruzioni della AMATI fanno partire l’amantiglio da una legatura sopra il bozzello della coffa.

Foto da istruzioni “AMATI”

Ho preferito usare bozzelli con due fori per la legatura, per ottenere una migliore simmetria::

Crocetta della cocca medievale attrezzata con i bozzelli
Crocetta con bozzelli per amantigli. Foto dell’autore.

A questo punto si possono legare le manovre al pennone, partendo dal foro del bozzello soprastante, andando nella puleggia del bozzello del pennone, ritornando indietro nell’altro bozzello per finire poi sul ponte:

Pennone con amantigli
Il pennone con gli amantigli. Foto dell’autore.

La biscaglina della Cocca mediterranea.

Ora conviene preparare la “biscaglina”, in inglese <<Jakob’s ladder>>, la scala di corda che porta dal ponte alla coffa. Essa è costituita da pezzetti di listello 1×1 mm legati a due cavi da 0,5 mm. Alla base è fissata a due anelli del ponte:

Biscaglina della cocca medievale mediterranea.
La biscaglina – Foto dell’autore.

In alto è avvolta alle barre costiere e poi fissata ai golfari precedentemente inseriti nella coffa. Occorre pensare a mantenere un certo spazio per il passaggio del marinaio ed evitare interferenze con la drizza del pennone:

Come visibile nel bassorilievo bronzeo raffigurante il sacrificio di Giona, le coffe potevano essere totalmente chiuse in basso e il marinaio doveva usare un’ulteriore scala esterna. Ma esistono documenti che indicano l’esistenza di coffe accessibili dal basso (il cosiddetto “buco del gatto”), come per esempio la “Schlusselfelder Schiff” del 1503:

Coffa della Schlusselfelder Schiff del 1503.
Particolare della Schlusselfelder Schiff (1503) – da Jean Meyer e Martine Acerra – L’EUROPA DEI MARI –

dove si vede chiaramente il marinaio che sta passando attraverso il pertugio. Per questo la base della coffa è stata sagomata:

Base della coffa della Cocca medievale.
Base della coffa. – Foto dell’autore.

Le sàrtie della cocca mediterranea.

Dopo la biscaglina, si può iniziare il lavoro per la costruzione delle sartie, partendo dal ponte. Le istruzioni propongono una struttura piuttosto semplificata:

Le sàrtie secondo il progetto AMATI.
Istruzioni AMATI

Un’altra opzione valida potrebbe essere quella di fissare gli anelli sul ponte vicini alla murata, oppure inseriti in un travone adiacente alla murata con quattro anelli e barre metalliche a supporto dei bozzelli inferiori. La Nao di Matarò ha i bozzelli legati con un cavo a un anello a murata:

Le sàrtie nella Nao di Matarò.
Cocca di Matarò – Sàrtie

Il fissaggio delle sàrtie nella Cocca mediterranea.


Allo scopo di mantenere i bozzelli a distanza costante dal capodibanda, si può usare un compasso a vite:

Fissaggio del bozzello inferiore della sàrtia.
Bozzello alla base della sàrtia. – Foto dell’autore
Tutti i bozzelli inferiori sono fissati alla murata.
Tutti i bozzelli inferiori sono fissati alla murata. – Foto dell’autore.

Il collegamento fra i bozzelli.

Riguardo il collegamento fra i bozzelli delle sàrtie, vi sono parecchie soluzioni; una di queste è riportato nel disegno sottostante:

Disegno del paranco a "menale".

Questo è un paranco a bozzelli detto “a menale” in cui il cavo di collegamento (corridorevetta), effettua due passate tra le due carrucole presenti nei bozzelli. Per l’unione fra la sàrtia e il bozzello superiore (incocciamento) c’era il borello (o borrello, coccinello o cavigliotto), una specie di manubrio. Poteva essere di legno o di ferro.

Costruzione dei borelli in metallo

Per la loro costruzione si può ricorrere a colonnine in metallo reperibili in commercio. Basta limarle nella parte centrale. Poi si colorano di nero opaco:

In segito si avvolgono nei cavi che sosterranno il bozzello e successivamente sono fissati alla sartia che proviene dall’alto:

Bozzello fissato al borello. – Foto dell’autore


I bozzelli con un solo foro sono fissati alla murata e quelli a due fori sono fissati alla sartia. Un filo di ferro sagomato aiuta a mantenere una distanza costante fra i bozzelli.

Le sàrtie di sinistra.
Le quattro sartie di sinistra. – Foto dell’autore.

Il corridore è costruito temporaneamente con elastico trasparente. A questo punto conviene smontare le sàrtie perchè occorre costruire la vela. Saranno riposizionate successivamente.

La vela della Cocca mediterranea medievale.

A questo punto si deve decidere se mettere o no la vela. In porto, durante le lunghe soste, la vela era tolta perchè non si deteriorasse e quindi può essere una scelta plausibile. Altrimenti si può mettere spiegata al vento o raccolta intorno al pennone, come in effetti è stato fatto. Il produttore AMATI mette la foto della nave con la vela solo sul coperchio della scatola: é una specie di salsicciotto con sei legacci che lo vincolano al pennone. Nessun disegno, né istruzione; bisogna arrangiarsi:

Documentazione “AMATI”

In realtà, le vele raccolte al pennone hanno una struttura molto più affusolata, come mostrano le immagini dell’epoca:

La vela spiegata al vento può essere ritagliata nelle dimensioni in scala; lo stesso non si può fare per la vela raccolta, in quanto lo spessore della tela disponibile, per quanto fine sia, è sempre molto maggiore del necessario (e crea l’effetto salsicciotto). Per cercare di fare qualcosa di meglio, ho tagliato la stoffa in maniera ridotta rispetto alla vela teorica (che si può solo immaginare). Ho preso a riferimento la vela della S.Maria come appare nei disegni di H.E.Adametz e ne ho preso le dimensioni proporzionalmente al pennone della Cocca mediterranea:

Procedimento di costruzione.

Ho incollato un filo da 0,5 mm lungo il perimetro interno, ritagliato la vela lasciando un margine laterale lungo il perimetro, e poi ripiegato la sporgenza esterna incollandola e inglobando la cordicella. Dopo ho incollato all’esterno un’altra cordicella (il gratile) di diametro circa 0,8 mm, con appigli agli angoli. I ferzi (le strisce di tela che costituiscono la vela) sono simulati sul retro della stessa con una matita. Questo è il risultato del primo tentativo (i fori sono stati ottenuti con la fustellatrice):

I disegni della vela della Cocca mediterranea.

Per quanto riguarda il modo di fissare la vela al pennone ho scelto quanto descritto ne: “Los galeones españoles del siglo XVII – Tomo II” autori Cayetano Hormaechea, Isidro Rivera e Manuel DerquiEdiz. “Associació d’Amics del Museu Marítim de Barcelona” con l’aggiunta di un disegno di H.E. Adametz (per la sua Santa Maria):

ATTENZIONE! : A lavori eseguiti, mi sono reso conto che è molto meglio operare queste modifiche di procedimento: 1) NON fissare i bozzelli al pennone prima della vela, ma dopo, e 2) dotare TUTTI gli angoli della vela di un anello di corda, non solo i due in basso della figura. Il lavoro d’inferitura della vela risulterà molto più agevole.

L’inferitura della vela.

Dopo il primo, ho fatto altri due tentativi e questa vela è il risultato del terzo. In questo, i fori nella vela non sono stati praticati con la fustellatrice, ma con un ago incandescente. Il vantaggio è che l’alone della bruciatura simula bene la cucitura intorno al foro. Purtroppo non mi sono ricordato di prendere foto di ciò. Tutto sommato, mi sembra abbastanza soddisfacente:

Foto dell’autore.

Le gru di capone.

Dopo la vela, tocca alle gru di capone, del tutto trascurate dal produttore. Sono strutture lignee situate a prua e che servono a “caponare” le ancora, cioè a posizionarle e sistemarle saldamente nella loro posizione di riposo.
La Nao di Matarò le ha ben dettagliate, posizionate quasi verticalmente vicino al bittone orizzontale sporgente dalla murata. L’accuratezza del lavoro fa pensare che il costruttore dell’epoca sia stato bravo e scrupoloso;

Ho preferito una soluzione più semplice, sagomando listelli leggermente incurvati di noce da 6×6 mm. La puleggia è solo accennata scavando un po’ il legno fra i fori:


Per incollare la gru, occorre levigare leggermente l’area a clinker. Ovviamente l’operazione va ripetuta sull’altro lato.


A questo punto sorge il problema del lato opposto della Nao di Matarò, che ha la gru in una posizione più avanzata:

Gru di capone lato destro.

Il problema è decidere se aveva quattro gru e due sono andate perse o se qualcuno ha eseguito una riparazione maldestra (poco probabile, anche perché le dimensioni sono differenti). Però non mi sono imbattuto in disegni o dipinti con quattro gru (sono pochi anche quelli con due…). Qualcuno ha costruito un modello recentemente con quattro gru:

Foto

Dato che l’iconografia riporta al massimo due gru, altrettante troveranno posto sul modello in costruzione.

Le manovre correnti: gli amantigli.

Finalmente si comincia a mettere in posizione le prime manovre. I cavi sono stati messi in tensione e poi spalmati di vinavil diluito tramite un pennello:


La battagliola di prua.

Questa struttura è stata risolta in maniera piuttosto semplificata dal produttore AMATI. Invece il modello reale esposto al Prins Hendrik di Rotterdam dimostra una certa ricerca estetica:

Per cercare di riprodurre la complessità della struttura si tagliano a misura e si sagomano i supporti; quelli angolari sono 4×4 mm e gli altri 3×3:


Se non si possiedono attrezzature elettriche e si lavora “a manazza” conviene farne in soprannumero perchè difficilmente saranno tutti uguali. Alla fine si scelgono quelli che si assomigliano di più e si incollano ai listelli.

Una volta preparate le tre sezioni, si sagomano i listelli che terminano a punta e si incollano le sezioni medesime curandone la planarità e l’allineamento Si sagomano i listelli con lima tonda e mezzatonda:


Si vernicia con impregnante noce, si lascia asciugare e infine s’incolla la battagliola al ponte:

Risultato finale – Foto dell’autore.

Lo straglio di maestra.

Adesso che la battagliola è collocata al suo posto, si può fissare definitivamente lo straglio di maestra (che è anche l’unico presente su questa nave):

Foto dell’autore.

Le sàrtie.

Lo straglio tiene in tensione l’albero verso prua ed è opportuno compensarlo in senso opposto con le sàrtie. E’ abbastanza difficile ottenere una disposizione che le mostri ordinate e complanari. Il corridore (il cavo che unisce i bozzelli) è stato tenuto in tensione mentre la sàrtia era spalmata di Vinavil diluito, per mantenerla rettilinea:

Foto dell’autore.

Conviene torcere il cavo che connette il bozzello con il borrello fino a renderli più o meno perpendicolari fra di loro. Però tutto sommato forse non è neanche necessario perseguire una grandissima precisione, che potrebbe anche sembrare una forzatura. La Nao di Matarò non ha le sàrtie ordinatissime, probabilmente anche per i 5 secoli e oltre di età…ma è la struttura stessa (in fondo è una serie di paranchi allineati) che non consente la perfezione dell’allineamento, come invece possibile con le sàrtie a bigotte dei vascelli dei secoli successivi. Nelle foto seguenti, le sàrtie completate:


Quattro per lato hanno un migliore effetto visivo, al confronto delle istruzioni AMATI:

Foto dell’autore.
Documentazione AMATI.

Il castello di poppa.

Questo è il castello di poppa del progetto AMATI, accanto a quello della Nao di Matarò:

Ho preferito incollare del piallaccio color noce sui supporti della struttura, listellare il pavimento sopra e sotto, aggiungere dei rinforzi alla base e una cornice ben visibile all’apertura centrale:

I supporti laterali vanno sagomati per poi accogliere adeguatamente i listelli tagliati a misura:

Una volta incollati i listelli, si sagomano con lima tonda e mezzatonda:

Foto dell’autore.

Eventualmente si può migliorare aggiungendo un terzo supporto laterale, come nella Nao di Matarò.

Posizionamento del castelletto di poppa.

Le istruzioni della AMATI suggeriscono di fare quattro incisioni quadrate sul capodibanda, nelle quali incastrare la base dei supporti del castelletto stesso (come visibile nella precedente foto AMATI). Dubitando di ottenere un buon risultato, ho preferito forare le basi del castello stesso e mettere una goccia di colla bicomponente epossidica nelle cavità, così da evitare la fuoruscita di collante dai punti di contatto. Poi si posizionano le basi del castello in modo che sembrino poggiare sugli scalmotti della murata (ovviamente la data delle foto non è esatta!):

Visione d’insieme della nave con entrambi i castelli posizionati. – Foto dell’autore.

L’allungamento della poppa con l’aggiunta del balcone e la necessità di posizionare le basi del castello sulla parte superiore degli scalmotti non ha influito molto sul posizionamento della struttura, come si può desumere dalla foto comparativa seguente:

Vista comparata della posizione del castello di poppa nel modello e come riportata dal disegno – Foto dell’autore

Le ancore

Le ancore presenti nella confezione sono migliorabili:

Esse sono state assemblate ai primordi, a tempo perso durante l’assemblaggio della struttura, e pur avendo ricevuto qualche modifica non sono completamente soddisfacenti: il ceppo è un unico pezzo, invece di due travi accostate, la venatura della parte laterale non sembra realistica, quella superiore e inferiore è innaturale. Ho usato una corda troppo grossa per le legature e le patte dell’ancora hanno un rilievo irreale, dovuto alla giunzione dello stampo.

Per prima cosa ho limato via il rilievo delle patte, poi ho verniciato con nero opaco e successivamente ho dato un velo di ruggine:

Rimozione del rilievo dello stampo dalle patte dell’ancora. Foto dell’autore.

Per quanto riguarda il ceppo di legno, non avendo listelli spessi 2,5 mm ho utilizzato un listello 5.1 x 5.2, forandolo al centro, incidendo la mezzeria per simulare due travi accostate, sagomandolo e poi verniciandolo con impregnante color noce:

Alcune foto comparative fra la soluzione precedente e quella messa in atto alla fine:

Le legature del ceppo sono fatte con cavo di diametro inferiore a quelle delle ancore precedenti.


L’anello originale dell’ancora mi sembrava troppo stretto per il gran cavo fornito dalla AMATI, per cui ne ho costruito uno con un tondino di ottone da 1 mm, piegato su un gambo di vite da 4,85 mm:

E’ praticamente impossibile rivestire l’anello chiuso, per cui occorre avvolgere del filo grigio da 0.3 mm attorno al tondino rettilineo, fissare il tutto con un velo di colla cianoacrilica istantanea, lasciar asciugare e poi effettuare la piegatura.

Conviene avvolgere filo in sovrabbondanza, per produrre diversi anelli, in quanto possono anche uscire male, specie i primi.

Ancora con ceppo e anelli in costruzione. – Foto dell’autore.

L’anello di dimensioni più ampie permette di fare questa legatura anche con un cavo molto grosso, come dev’essere la gomena:

Nodo per ancora di navi di piccole dimensioni.

Alla fine, tutto sommato, mi sembra di aver migliorato l’aspetto di questo componente abbastanza importante:

Ancora completata. – Foto dell’autore.

A questo punto si può effettuare la legatura secondo lo schema visto precedentemente:

Ancora fissata alla gomena. – Foto dell’autore.

Il gavitello.

Il gavitello è semplicemente una boa collegata all’ancora; esso permette di stabilire la posizione della stessa e il cavo a lei fissato può aiutare a smuoverla nel caso si sia “incattivita”, cioè incastrata fra le asperità del fondale:

Potevano essere di diverse dimensioni e forme; ecco alcune immagini:

Sembra non esistere documentazione figurativa di questo componente, all’epoca. Esistono sì raffigurazioni molto particolareggiate, ma non vi è traccia di gavitelli. Anche dipinti, stampe, incisioni, di galeoni del 1500 non hanno i gavitelli; essi compaiono chiaramente solo nel 1700. Però è anche vero che erano particolari probabilmente ritenuti poco interessanti dai conteporanei, posizionati a bordo in modo poco visibile dall’esterno e quando esercitavano la loro pur utile funzione erano lontani dallo scafo.

I gavitelli nella letteratura.

I testi scritti ci vengono in soccorso: nel volume “SAILING SHIPS” di E. Keble Chatterton del 1909:

a pag.147 è indicato chiaramente che la flotta preparata da Riccardo I per la sua crociata (1190) usava delle boe collegate alle ancore per evitare che le gomene s’ingarbugliassero durante le manovre:

Inoltre a pag. 178 è indicato anche il materiale usato per quelle boe:
e a pagina 185 si trovano le boe delle ancore indicate come oggetti necessari per la navigazione. A questo punto abbiamo qualche giustificazione per procedere.

La costruzione del gavitello.

Per fare i gavitelli si può usare un tondino di legno da 10 mm. Se non si dispone del tornio, si può ricorrere a un temperamatite per fare due coni e un seghetto per ottenere il disco centrale.

Con una lama si possono fare incisioni verticali e orizzontali. Occorre forare i gavitelli alle estremità per poter inserire gli anelli; nel caso le dimensioni delle boe fossero eccessive, si può procedere a ridurre e sagomare con carta vetrata e trapanino, fino a ottenere un risultato soddisfacente:


Dato che è un oggetto che deve essere visibile per segnalare la posizione dell’ancora, ho pensato di colorarlo in rosso opaco.
Poi si passa a costruire gli occhielli che si possono fare di metallo (da annerire) o di corda, che mi sembra preferibile:


Dopodichè gli si costruisce intorno quell’inviluppo di corda intrecciate; è un lavoro che richiede molta pazienza:

Ancora legata alla gomena, con il cavo per la gru di capone e il gavitello collegato al fuso. – Foto dell’autore.

Ancora posizionata definitivamente. – Foto dell’autore.
Vista dall’interno. – Foto dell’autore.

Ovviamente altrettanto andrà fatto sull’altro bordo. Dalle immagini si evidenzia un notevole miglioramento rispetto a quanto proposto dal produttore AMATI:

La Coffa

La coffa all’epoca aveva le sembianze di un grosso cesto appollaiato in cima all’albero. Abbiamo già visto come una coppa dei primi anni del ‘500 inichi chiaramente una biscaglina che termina nel “buco del gatto”. Anche se vi erano altre disposizioni (più pericolose, prevedendo di arrivare al parapetto e scavalcarlo), questa è stata presa a riferimento. Le istruzioni del produttore indicano la biscaglina fissata al supporto esterno inferiore della coffa: ciò implica due possibilità: o che il marinaio facesse i contorsionismi per entrare da sotto, o che fosse disponibile una scala supplmentare per arrivare al parapetto:

Un modo sarebbe ricostruirla ex-novo; oppure si può cercare di modificare l’esistente. Ho praticato 16 aperture simmetriche, ampliato l’apertura al fondo e inserito alcune tavole per consentire un appoggio al povero marinaio di guardia lassù (badando a non intralciare i cavi passanti):

Infine l’ho colorata di bianco a pallini rossi. Uno schema simile l’ho visto su: “Historic Ship Models” di Wolfram Zu Mondfeld, (anche se le immagini erano in bianco e nero):

I colori sono acrilici opachi e l’invecchiamento è stato tentato con carta abrasiva e acqua a grana molto fine:

Foto dell’autore.

Una cosa che salta all’occhio è che la coffa è “vissuta” mentre la nave sembra appena uscita dall’arsenale. Si potrebbe pensare di ringiovanire la coffa o invecchiare la nave (quest’ultima opzione è quasi impossibile a questo stadio).
Occorre però pensare che a quell’epoca non c’erano brillanti colori sintetici a solvente, il legante sarà stato albume o qualche olio siccativo e probabilmente un anno di sole, vento, pioggia, salsedine, caldo e freddo, asciutto e bagnato potrebbero aver rovinato la tinta. mentre un buon legno se la sarebbe cavata meglio, Inoltre le navi mercantili non erano tirate sempre a lucido come le navi da guerra più rappresentative, anche se poi potevano essere confiscate per adibirle a scopi bellici per i quali non erano progettate (più che altro a scopi logistici).

I bracci del pennone.

I bracci del pennone sono le manovre che orientano la vela orizzontalmente, per raccogliere più vento:

Foto dell’autore.

A questo punto ormai siamo alla conclusione, con l’inserimento del complessivo riguardante: l’ancora di dritta

L’ancora di dritta

Ovviamente si cerca di seguire l’immagine speculare dell’altro lato; la procedura è la stessa:

Foto dell’autore

Tutte foto dell’autore

Adesso è giunto il momento di aggiungere la polena; ho preferito dipingerla, non convincendomi appieno l’ottone lucido che risplende:

Finalmente il cantiere allestito per la costruzione della cocca medievale è arrivato al termine. Sono passati più di due anni dalla sua apertura; il modellismo navale in legno generalmente richiede molto tempo e in questo lavoro particolare ha inciso molto la ricerca storiografica e iconografica,che ha portato a modifiche e miglioramenti sostanziali rispetto alla versione di base. Adesso alcune immagini del modello finito.

La cocca medievale completata

Foto dell’autore.
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Tutte foto dell’autore.

Concludo sperando che la costruzione passo passo sia stata utile per chi inizia un modello di questo tipo e che la ricerca storica e iconografica invogli a proseguire ulteriormente sulla strada della riscoperta delle opere del nostro passato.

Rodolfo Bigoni

Bibliografia

Jean Meyer, Martine Acerra – L’EUROPA DEI MARI – ARSENALE EDITRICE IN VENEZIA.

Heinrich Winter, “La Nau Catalana de 1450”, Barcelona, 1986.
“The nao of Mataró: a medieval ship model”, Sjoerd de Meer, Curator of shipping and cartography, Maritime Museum Rotterdam.
“Xavier Pastor i la “COCA DE MATARÓ”. La re-creació d’un Símbol”, Màrius Armengou i Schuppisser, FULLS Del Museu Arxiu de Santa Maria.

Xavier Pastor – Anatomy Of The Ship – The Ships of Christopher Columbus – CONWAY MARITIME PRESS

Heinrich Winter – Le navi di Colombo – MURSIA – 1972

“La Nau de Mataró”, Joan Noè i Pedragosa, FULLS Del Museu Arxiu de Santa Maria.

Documento sulla Coca di Mataró pubblicato dal Maritime Museum di Rotterdam.

“Historic Ship Models” di Wolfram Zu Mondfeld,

Studio, piani e ricostruzione della Coca di Mataró a cura di Jorge Gonzalo Olave.

E. K. CHATTERTON – “SAILING SHIPS: THE STORY OF THEIR DEVELOPMENT FROM THE EARLIEST TIMES TO THE PRESENT DAY” – LONDON, SIDGWICK & JACKSON, LTD. (1909)